Vi siete sposate e il matrimonio è andato bene.
Tutto come desideravate: la torta, né troppo pannosa, né troppo burrosa; gli invitati, né troppo addobbati, né troppo trasandati; persino il drone perfetto sopra di voi a fare foto e video comeluinessunomai.
Allora, ancora trasognanti, tornate dal viaggio di nozze e accarezzate
l’abito da sposa, così pieno di pizzo e tulle svolazzante.
Poi lo ripiegate, lo imbustate e decidete di portarlo in lavanderia a futura memoria, perché immaginate la vostra figlioletta un giorno col pizzo e il tulle svolazzante, col drone in alto, con gli invitati addobbati, ma non trasandati e via via tutto il resto.
Ecco, in quel preciso momento ha inizio il male.
La lavanderia fa il suo dovere e va tutto bene: ancora il male sembra qualcosa di inarrivabile.
Ma voi non paghe chiedete alla lavanderia di riporre il vestito sottovuoto in una busta di cellophane rosa. Che poi ripasserete e lo riprenderete così impacchettato, per i posteri gaudenti.
Allora tornate – dopo quattro mesi – ché nel frattempo la vita coniugale vi aveva un po’ prese.
Ed è allora che il male si avvicina.
Una volta a casa, in un momento di tenera nostalgia, aprite il cellophane rosa. E’ in quel preciso istante che il male vi assale e vi avvampa l’ugola, le gote, su su fino alle orecchie che diventano viola melanzana.
Ecco, di solito proprio quando state così sopraggiunge la legge a darvi sollievo e conforto. Dovete solo affidarvi a lei.
Abito da sposa rovinato, con la lavanderia c’è un contratto d’opera
Sì perché “il contratto mediante il quale taluno si impegna a tenere presso di sé degli abiti per darvi pulitura va considerato come contratto d’opera” – sentenzia la Cassazione.
In sintesi, sussiste un preciso obbligo di custodia che impone alla lavanderia di riconsegnare in qualsiasi momento l’abito da sposa in perfette condizioni, a prescindere dai cartelli appesi in negozio che invitano la gentile clientela a ritirare i capi entro venti giorni.
Allora sposa arrabbiata, sposa ristorata. Il danno costa oltre tremila euro di risarcimento del danno e la condanna alle spese del giudizio. (cfr. Tribunale di Roma, sentenza del 17 gennaio 2017 n. 675)
Ne avete diritto, è la legge bellezza.
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